Grecia: criminalizzazione delle migrazioni e militarizzazione dei confini

Scritto dasu 19 Marzo 2024

Con Giulio, che da molti anni vive ad Atene ed è attivo nelle lotte e nella solidarietà ai migranti, abbiamo provato a capire come sia cambiato il panorama delle migrazioni in Grecia negli ultimi anni e a 9 mesi dal più grande naufragio del Mediterraneo. Da un lato, la militarizzazione continua ai confini di terra e marittimi tra fondi e tecnologie europei e spinte nazionalistiche. Dall’altro l’atto stesso di migrare é sempre più l’oggetto diretto di una campagna di repressione che porta a esclusione, isolamento, processi a migranti e solidali, e richieste di condanna di migliaia di anni.
Sino al naufragio di Pylos dove una nave è affondata con quasi un migliaio di persone a bordo, botte, intimidazioni e respingimenti erano normali sia dalle isole vicine alla costa turca, sia lungo il confine terrestre, pesantemente militarizzato lungo il fiume Evros. Si calcola per approssimazione che nell’anno precedente al naufragio ci siano stati 500.000 pushback. Chi è annegato a Pylos tentava di raggiungere direttamente l’Italia evitando la Grecia.
Secondo la testimonianza di alcuni sopravvissuti la barca è colata a picco, dopo che una nave della guardia costiera greca ha tentato di trainarla fuori dalle acque territoriali elleniche.
La forte indignazione per la strage del 14 giugno 2023 ha fatto si che il governo greco allentasse la pressione sulle frontiere e gli sbarchi riprendessero.
Dopo il naufragio 9 persone sono state arrestate con l’accusa di essere trafficanti e rischiano pene gravissime. In Grecia è pratica abituale individuare alcuni migranti che, per avere il passaggio hanno accettato di condurre la barca o, sulla frontiera terrestre, guidano un’auto piena di senza carte, arrestarli e accusarli di lucrare sulle vite degli altri migranti. I processi contro queste persone sono fatti senza nessuna possibilità di difesa: niente traduzioni, avvocati d’ufficio nominati il giorno del processo. In media questi processi durano intorno ai 38 minuti.
Un duro colpo a chi lotta è stato lo sgombero del campo autogestito di Lavrio, aperto negli anni Ottanta per accogliere oppositori politici turchi e curdi.
Chi non viene respinto per strada finisce in campi lontani dai centri urbani, dove è permesso uscire solo a chi ha fornito i propri dati biometrici.
In questi anni quasi tutte le strutture autogestite sono state sgomberate e buona parte parte di quelle statali sono state chiuse.
Il gruppo di cui fa parte Giulio gestisce una biblioteca mobile che distribuisce libri in diverse lingue. Ogni settimana vanno in uno dei sei campi che si trovano tra i 50 e i 100 chilometri da Atene, ed aprono il loro furgone/biblioteca. Dentro non possono entrare ed anche stare fuori per intercettare quelli che possono uscire non è facile, perché spesso le guardie private incaricate della sorveglianza mettono i bastoni tra le ruote.
Oltre ai campi per richiedenti asilo ci sono le prigioni per clandestini in attesa di espulsione, che funzionano in modo simile ai nostri CPR. Con un’importante differenza: la Grecia ha pochi accordi per rimpatrio.
Ne consegue che chi finisce impigliato nella rete repressiva passa un anno e mezzo in galera amministrativa, poi torna in strada clandestino, finché non viene ripescato o riesce a lasciare la Grecia. Un feroce gioco dell’oca.

Ascolta la diretta con Giulio D’Errico, un compagno che vive ad Atene da molti anni:

 

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