Le promesse populiste in Usa producono scelte assurde in Rojava

Scritto dasu 22 Dicembre 2018

Abbiamo chiesto a Murat di analizzare le conseguenze del disimpegno militare americano in Siria, perché le reazioni più trionfanti sono quelle di Erdoǧan, che promette di ripulire la Siria del Nord da terroristi e curdi, Dalle parole del nostro interlocutore si evince che per entrambi i leader populisti (Trump ed Erdoǧan che hanno ordito questa situazione a margine del G20 argentino) si tratta di un espediente per stornare l’attenzione del loro elettorato dal malcontento interno.

Fini strateghi invece gli altri due del gruppo di Astana, Putin e Rohani, sono riusciti nel loro intento finora di volgere le sorti della guerra di Siria secondo le loro mire di controllo territoriale e di potenza regionale; l’Iran poi, trovandosi con una importante comunità curda all’interno dei propri confini, dal contrasto della esperienza delle zone liberate dal Daesh nel Nord della Siria trae vantaggio lasciando ai turchi il lavoro sporco di eccidi, distruzioni, impegno militare, invasione di una nazione confinante, spese in vite e armi. E monito contro ogni velleità curda.

Ora il Pyd e le Ypg/Ypj – ma anche tutte le altre forze inserite nella Fds ben descritte da Murat – si sono rivolti ai francesi (ex potenza coloniale in Siria, che già in un’occasione nel 1946 non aveva ostacolato la voglia di autonomia curda) per ottenere supporto politico e militare contro le prepotenze di Erdoǧan; potrebbe essere un’occasione anche per Macron per uscire dalle secche dei Gilets Jaunes, giocando anche lui la carta nazionalista e trovando spalancate le porte per rientrare in Medio Oriente. In fondo per salvare il confederalismo democratico in Rojava messo in atto dai curdi vale qualsiasi cinica mossa per superare l’ennesimo tradimento perpetrato ai danni dei curdi, dopo averne sfruttato le abilità militari sul terreno.

Il motivo per cui abbiamo optato per Murat come interlocutore per analizzare l’attuale situazione mediorientale è la lettura più immediata della mossa di Trump – contrastata anche dal dimissionario Mattis, tutt’altro che una colomba – è il disimpegno in funzione antirussa, nel senso che era diventata prioritaria la riconquista dell’alleato turco, riportando nell’alveo della Nato chi si stava orientando sempre più verso gli S400 russi piuttosto che gli F35 americani (interessante la notizia in sordina dello sblocco della vendita ai turchi imposto da Trump contemporaneamente all’altro regalo a Erdoǧan di sgomberare Mambij da truppe americane, senza dimenticare la eventuale estradizione di Fetullah Gülen, per l’elezione turca di primavera). Perciò risultava essenziale andare in Turchia per capire meglio gli sviluppi della mossa di Trump: considerare anche gli aspetti economici interni allo stato anatolico, che si dibatte in una crisi economica e finanziaria annosa e che morde la classe media, il debito publico a quasi 200 miliardi che vanno rinnovati proprio entro la primavera.

Ecco come Murat ci ha dipanato i ruoli di ciascun attore nella commedia geopolitica, evidenziando le debolezze, le dipendenze e le potenze di ciascuno per poter comprendere ogni loro scelta.

Ritiro Usa, cui prodest?


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