Cerca risultati per: RADIO NO TAV
Risultati: 2123 / Pagina visualizzata:80 di 177
Portare la Valle in città: una 4 giorni di presidio a Firenze . Perchè il Tav è un treno e molto di più. Il Tav è un modo di gestire i soldi pubblici, socializzando le perdite e regalando facili profitti ai privati, ai grandi cartelli di costruttori. Il sottoattraversamento Tav di Firenze e il centro […]
Domani a Milano ci sarà una serata NO-RAV, No Repressione ad Alta Velocità. Ospiti gli avvocati Eugenio Losco e Mauro Straino ed alcuni esponenti del movimento contro la Torino Lyon. Abbiamo raggiunto telefonicamente l’avvocato Losco e abbiamo discusso con lui del tema della serata: i nuovi scenari repressivi contro le lotte politiche e sociali. Giovedì 29 marzo […]
L’inchiesta sulla strage che da molti anni colpisce le popolazioni che vivono nella zona del Poligono di Quirra è giunta ad una prima conclusione. Nel registro degli indagati sono finiti in venti: gli ex comandanti del poligono sperimentale di Perdasdefogu e del distaccamento di Capo San Lorenzo, ma anche i responsabili sanitari del comando militare, alcuni professori universitari e i membri di un commissione nominata dal Ministero della Difesa che avrebbero dovuto studiare gli effetti della contaminazione dell’uranio.
Nell’elenco dei primi venti indagati è finito anche il sindaco di Perdasdefogu, uno dei paesi su cui ricade la gigantesca base militare sarda. Walter Mura, insieme al medico competente del poligono, è accusato dal procuratore Domenico Fiordalisi di aver ostacolato l’inchiesta sul disastro.
Nelle ossa di dodici cadaveri riesumati per ordine del magistrato ci sono tracce del micidiale torio. Le persone stroncate dal nemico radioattivo potrebbero essere non meno di centosessanta. E proprio per questo la Procura della Repubblica di Lanusei ha deciso di approfondire ulteriormente l’inchiesta sui veleni della base militare del Salto di Quirra.
La diffusione dei tumori e delle leucemie tra gli abitanti della zona, secondo la tesi della procura, dimostrano come le sostanze tossiche e radioattive abbiano contaminato il suolo, le falde acquifere che alimentano diversi paesi e persino l’atmosfera. Gli effetti, oltre alla morte di tanti militari e dei pastori che hanno allevato le loro greggi dentro il poligono, sono dimostrati dalla nascita di bambini e agnelli malformati. Ora c’è la prova, quella che non hanno mai riscontrato le commissioni nominate per far luce su uno strano fenomeno di cui si parlava da molti anni. E anche per questo, nell’elenco degli indagati, ci sono professori e altri specialisti che avrebbero volutamente negato gli effetti della contaminazione.
Secondo Francesco, attivista antimilitarista di Villaputzu, l’inchiesta sarebbe stata aperta per bloccare una possibile insorgenza popolare, ridare fiducia nelle stesse istituzioni che per decenni hanno coperto la strage, perché gli affari potessero andare avanti.
Purtroppo in molti casi le stesse vittime diventano complici. I pastori, che, quando non ci sono esercitazioni, pascolano le pecore nella vastissima area del poligono, non hanno purtroppo interesse a far rilevare che i loro animali vivono in un territorio pesantemente inquinato.
La stessa proposta di riconversione dal militare al civile del Poligono non modificherebbe la situazione, poiché le ditte private che già oggi sperimentano nel poligono, producono danni equivalenti se non superiori a quelli dei militari. Solo la chiusura definitiva del Poligono aprirebbe qualche prospettiva per la salute delle persone e per un diverso futuro del territorio ogliastrino.
Ascolta l’intervista a Francesco per Radio Blackout:
scarica il file
Di seguito una scheda sul poligono del Salto di Quirra.
È la base militare sperimentale più grande d’Europa, costruita intorno al 1954 ed estesa su circa13.500 ettari a terra, con una ulteriore superficie che si estende a mare fino a superare l’intera superficie dell’isola di Sardegna (quasi 29 mila Kmq).
In quanto base militare viene utilizzata dall’esercito italiano e da eserciti stranieri (NATO, ma non solo) per esercitazioni e addestramento.
In quanto sito di sperimentazione, la base è attrezzata ed utilizzata per la prova di prototipi di armamenti e come mercato dimostrativo dove i produttori di armi possono esporre ai potenziali acquirenti il funzionamento e l’efficacia dei dispositivi proposti. Questa funzione rende il PISQ molto particolare: esistono al mondo solo altri tre poligoni che possono essere noleggiati da eserciti stranieri e industrie private. Il costo medio è di circa 50 mila euro l’ora.
Le attrezzature del Poligono sono usate anche per il test di tecnologie militari applicate ad usi civili (se ha senso tale distinzione): si tratta di esperimenti pericolosi ed esplodenti, come quelli sulla tenuta degli oleodotti o sui motori dei razzi per satelliti, che richiedono le stesse strutture usate per la prova di armamenti. Attualmente sono questi gli usi con le ricadute più pesanti in termini di inquinamento.
che cosa comporta il PISQ
Il Sarrabus-Gerrei è una delle zone a minor densità abitativa in Europa, ma non per questo nel 1954 ci si sarebbe privati del territorio oggi occupato dal Poligono; quelle aree avevano una loro vocazione alla viticoltura ed all’allevamento e, verosimilmente, se oggi non ci fosse la base, si sarebbero sviluppati anche altri settori: turismo, pesca, agrumeti, serricoltura, ortalizie, apicoltura, ecc…
La base è nata da esigenze estranee a quelle delle popolazioni ed ha trasformato il rapporto con il territorio creando delle condizioni che oggi vengono percepite come uno stato di fatto immutabile:
• sottrazione di sovranità: le popolazioni subiscono decisioni prese completamente al di fuori del proprio controllo, estranee ai propri interessi, senza avere alcuna voce in capitolo, anzi spesso volutamente disinformate dalle autorità;
• cristallizzazione economica (se non arretramento): la popolazione complessiva attorno al PISQ, è diminuita tra il 1971 ed il 2009 di 4.580 unità ovvero del 12% (dati ISTAT). Una realtà demografica cui fa riscontro il reddito medio per abitante che per il 2008 è di appena 6.857,00 €, contro una media italiana di 18.900,00
• distruzione del patrimonio archeologico e naturalistico: vale per tutti il caso del complesso carsico di S’Ingutidroxa, denunciato all’opinione pubblica da realtà autonome che operano nel territorio contro il poligono militare;
• inquinamento dell’intera area tanto da causare modificazioni genetiche negli organismi vegetali ed animali e diffusione di alcune patologie (aumento dei malati di diabete fino al 300%, disturbi alla tiroide, ecc…), linfomi e cancri di vario genere, aborti e malformazioni negli animali e nell’uomo.
Il territorio e le popolazioni che “ospitano” il PISQ appaiono essere le prime vittime del Poligono e ne subiscono le conseguenze immediate, ma deve essere ben presente che gli ordigni sviluppati all’interno della base trovano utilizzo nei teatri di guerra di tutto il mondo come nuovi e più efficaci sistemi di distruzione e morte.
La nocività del Poligono si estende ben oltre i confini dell’isola ed è difficile giustificare l’esistenza di una tale struttura nei termini dei posti di lavoro che sarebbe in grado di garantire, senza considerare che – oltre ai costi sanitari, sociali, economici e politici che pagano le popolazioni locali – i frutti del “lavoro” svolto nel Poligono ricadono sui morti e sui profughi nelle guerre dell’Africa e del Medioriente e sono un mezzo per il mantenimento di oppressione e sottosviluppo.
Tutto ciò è potuto accadere anche perché le stesse genti che subiscono la presenza della base militare hanno permesso questa situazione.
I motivi di ciò sono, tutto sommato, spiegabili:
• fiducia verso istituzioni statali, a cui si affida lo sviluppo del territorio, la creazione di opportunità economiche, la tutela della salute ed il rispetto delle leggi;
• penetrazione dell’economia militare, per cui tutti hanno un parente, un amico, un vicino a qualche titolo coinvolto nell’attività bellica; pertanto una presa di posizione contraria al poligono comporta una frattura nella comunità e questo è forse il principale motivo per cui il territorio esprime una opposizione debole e disorganizzata, pronta a delegare a terzi (partiti, stampa, magistratura, ecc.) l’onere di una lotta di cui nessuno sembra volersi veramente fare carico;
• sentimento di isolamento e di debolezza nei confronti di interessi che appaiono essere troppo più grandi rispetto a quelli delle popolazioni locali;
• fondo di fatalismo e di cinismo, per cui si spera sempre che quanto succede agli altri non succeda a noi e si cerca di vivere la propria vita senza porsi troppi problemi.
Se oggi va maturando la consapevolezza della necessità di riappropriarsi del territorio e chiudere la struttura del Poligono, è evidente che è necessario superare la passività ed intraprendere un percorso di lotta.
situazione attuale
L’esistenza di una situazione sanitaria anomala è stata oggetto negli anni di molte denunce e ricerche. Oggi non è più necessario dimostrare l’esistenza o la consistenza della “sindrome di Quirra”, così come ci sono chiare evidenze di quelle che ne potrebbero essere le cause, tutte riconducibili alle attività del Poligono.
Fin dai primi anni ’80 tra le specie viventi (flora e fauna, inclusi gli umani) si son verificate molteplici anomalie che per gli abitanti della zona sono fatti noti: morìa ed aborti in bestie ed esseri umani, malformazioni nei feti e nei nati vivi, fino al caso di Escalaplano dove, a cavallo del 1988, su 25 nuovi nati, 14 risultarono affetti da malformazioni più o meno gravi.
Nel 2001 un oncologo ed un medico di base di Villaputzu denunciavano una anomala quantità di tumori emolinfatici.
Nel 2004 l’Istituto Superiore di Sanità raccomandava indagini epidemiologiche settoriali nell’intorno del Poligono.
Nel 2006 lo screening sullo stato di salute della Regione Sardegna riscontrava percentuali di malattie paragonabili a quelle delle zone industriali.
Nel 2008 il Comitato Scientifico di Base, organismo indipendente, agendo su incarico di associazioni locali attive nella lotta contro il PISQ, pubblicava uno studio in cui denunciava l’inquinamento elettromagnetico prodotto dalle apparecchiature in uso al Poligono.
Nel 2009 lo stesso Comitato Scientifico di Base denunciava una percentuale abnorme di leucemie tra i lavoratori ed i residenti nell’intorno della base e tra i lavoratori civili del Poligono.
È di oggi, infine, la denuncia dei veterinari della zona, che riscontra, tra gli allevatori operanti nella zona del Poligono, una percentuale di malati di leucemie pari al 65% dei residenti, oltre a dati inquietanti relativi allo stato di salute del bestiame.
Nei primi anni del 2000 ci si è concentrati sull’uranio impoverito, che potrebbe essere una con-causa, ma è stato dimostrato non essere il principale responsabile della situazione. Nonostante ciò sia noto da allora, ancora si svolgono inutili e costose indagini per la ricerca di agenti radioattivi non significativi, e ciò non può che destare allarme.
E’ poi appena il caso di ricordare il tentativo di depistaggio che attribuiva la diffusione di leucemie alle vecchie miniere di arsenico, che è pure un agente patogeno, ma per tutt’altro tipo di tumori, peraltro poco presenti nel territorio. Tuttavia ancora c’è chi sostiene questa tesi!
Gli studi indipendenti e quelli svolti dalle diverse commissioni hanno invece evidenziato la presenza di nanoparticelle di metalli pesanti, generate negli impatti, nelle esplosioni e nelle combustioni dei propellenti usati dai missili; la presenza di inquinanti chimici (idrazina, tungsteno, ecc.) utilizzati nei combustibili dei missili e in alcuni dispositivi militari; la presenza di intensissimi campi elettromagnetici dovuti ai radar di controllo, segnalazione ed inseguimento, oltre ai dispositivi di guerra elettronica utilizzati e sperimentati nelle esercitazioni
responsabili e responsabilità
I responsabili diretti di quanto sta accadendo al territorio ed alle popolazioni attorno al Poligono Interforze del Salto di Quirra sono i governi, i militari e le industrie di armi e munizionamenti. Costoro hanno voluto il Poligono, lo hanno realizzato ed usato sulla base esclusiva dei propri interessi economici, politici, strategici, lucrando sulla vita e la salute delle popolazioni, senza metterle al corrente né dei rischi, né di eventuali misure protettive, negando, tacendo e falsificando anche di fronte all’evidenza. Le istituzioni politiche hanno agito in continuità con gli interessi militari ed industriali, senza mai ricredersi sulle scelte operate in passato e reiterando (ancora oggi) l’intoccabilità del Poligono e delle sue attività.
Per non aver svolto il proprio ruolo di controllo e tutela sono responsabili: le istituzioni regionali e provinciali che si sono alternate dal 1954 fino ad oggi; i sindaci e le amministrazioni comunali, in particolare quelli di Perdasdefogu, Escalaplano e Villaputzu; le ASL competenti e l’ARPAS. Enti che avrebbero dovuto prevenire, controllare ed impedire lo scempio e che invece hanno sempre negato l’evidenza. Enti che insistono tutt’ora nel richiedere non solo il mantenimento della base militare ma finanche l’intensificazione delle sue attività.
Per aver taciuto i rischi ed occultato informazioni allarmanti sono responsabili: tutte le imprese – pubbliche e private – che collaborano con il PISQ e che avrebbero potuto divulgare notizie relative alla pericolosità delle attività svolte nel Poligono; i sindacati, che – per tutelare pochi posti di lavoro (dai quali andrebbero sottratti quei pastori, agricoltori, pescatori, impiegati in attività civili, decimati dalla pandemia militarista) – difendono l’esproprio di un territorio vastissimo, accreditando il mestiere di militare come un “lavoro come gli altri”. Si trovano così vittime della contraddizione di tutelare la busta paga piuttosto che la persona.
Una responsabilità nell’occultamento della verità e nel mantenimento della “pace sociale” deve essere attribuita anche alle istituzioni della chiesa cattolica che hanno mediato e diffuso l’ignoranza su quanto avveniva nella base. Vale su tutto la dichiarazione di mons. Mani, arcivescovo di Cagliari e generale di corpo d’armata, in quanto ex-capellano militare, che assicura personalmente «che nelle basi in Sardegna non viene utilizzato uranio impoverito».
una prima conclusione
Nessuno dei responsabili dell’accaduto vuole in realtà porre fine alle malattie, all’impoverimento economico, alla distruzione dell’ambiente che hanno imposto per oltre mezzo secolo alle comunità locali, ne’ sarà disposto a permettere un controllo sulle attività belliche, che – in verità – non sarebbero neanche possibili se non fossero occultate dal segreto militare. E’ evidente, quindi, che non ci può essere incontro tra gli interessi di chi guadagna dalle attività del Poligono e di quanti vi perdono la vita, come singoli, come comunità e come vittime della guerra.
Attendersi che l’intera popolazione si sollevi all’unisono e pretenda la chiusura del PISQ è una prospettiva irreale, sia perché parte della popolazione stessa è portatrice di interesse, sia perché l’atteggiamento prevalente è di indifferenza e cinismo. È’ necessario partire da questa realtà ed effettuare una scelta di campo: chi vuole mantenere il Poligono già lo manifesta; chi ne vorrebbe la chiusura deve prendere coscienza di questa divergenza di interessi. Non solo: l’esperienza di oltre mezzo secolo e le posizioni espresse quotidianamente dai responsabili mostrano che non si può fare affidamento su istituzioni che – a tutti i livelli – hanno dato copertura ai militari.
Delegare e, dunque, affidare la vita, la salute, il territorio in cui viviamo in mani altrui, senza poter esercitare alcun controllo, è il meccanismo che ha portato alla condizione attuale. È necessaria, pertanto, una mobilitazione di base, in prima persona, in autonomia dalle organizzazioni istituzionali e tale da poter agire in modo diretto ed organizzato.
Meno catene per Tobia, Mambo, Jacopo
In questa settimana si sono allentate le catene per alcuni dei No Tav arrestati il 26 gennaio per la resistenza allo sgombero della Maddalena.
A Jacopo, che si trova ai domiciliari, è stato permesso di comunicare con l’esterno, Mambo e Gabriele sono passati dalla galera alla prigione casalinga.
Tobia, reduce da una settimana di ricovero in ospedale dopo la fine dello sciopero della fame, sta meglio. Il giudice gli ha ulteriormente ridotto le misure restrittive: da venerdì ha l’obbligo di dimora a Torino con coprifuoco serale e notturno. Sabato mattina è passato al presidio contro la crisi in corso Vercelli, lunedì è tornato a lavorare.
Sono ancora in carcere sette No Tav: Juan, Maurizio, Marcelo, Niccolò, Luca, Giorgio, Alessio.
Sabato pomeriggio i compagni di Giorgio, rinchiuso in semi-isolamento a Saluzzo, hanno organizzato un presidio al carcere. Di fronte alle altre carceri i presidi solidali si erano svolti contemporaneamente l’11 febbraio.
Abbiamo intervistato Tobia sul suo “27 giugno”, sulla giornata di resistenza allo sgombero della Maddalena, per la quale è stato arrestato il 26 gennaio.
Ascolta la sua testimonianza:
Scarica il file audio
Giornata nei campi di Luca
Domenica 25 marzo l’appuntamento è al Cels, la frazione di Exilles dove vive e lavora Luca Abbà, il contadino folgorato su un traliccio durante lo sgombero della baita Clarea.
Luca, poco a poco, si sta riprendendo ma ci vorranno lunghi mesi e tante altre sofferenze per curare le gravissime ustioni che gli hanno inciso le carni.
Un folto gruppo di No Tav armato di rastrelli e altri attrezzi da lavoro pulisce i castagneti di Luca e a fa altri lavori, che oggi lui non può fare. Un segno di solidarietà concreta, che è anche la misura della irrimediabile diversità del movimento No Tav, del suo saper fondere solidarietà e resistenza, autogestione e conflitto.
Nel pomeriggio, dopo un pranzo condiviso, canti e balli si scende al cancello della centrale a Chiomonte. Alcuni si avviano per il sentiero, altri restano al ponte e fanno battiture e slogan. I primi riescono ad arrivare al curvone che conduce alla Maddalena prima di essere intercettati dalle truppe in assetto antisommossa e tornare indietro. Per i secondi, dopo un avvio sonnacchioso, arrivano due blindati e un lince. Vengono salutati con slogan e nuove battiture.
Ascolta l’intervista di Danilo di Exilles sulla giornata:
Scarica il file audio
Verso l’11 aprile
Il 27 febbraio, il giorno dello sgombero della Baita Clarea e del gravissimo incidente a Luca, le truppe dello Stato hanno occupato un altro pezzo di terra, l’hanno cintato con reti, jersey, filo spinato. Dopo dieci mesi, senza preoccuparsi di fare le procedure per l’occupazione “temporanea” hanno fatto l’ultimo passo, la presa dei terreni, dove scavare per il tunnel geognostico.
Mercoledì 11 aprile vogliono che l’occupazione diventi legale. Quel giorno hanno convocato i proprietari per la procedura di occupazione “temporanea” dei terreni. Potranno entrare nel fortino solo uno alla volta, scortati dalla polizia: se qualcuno non si presenta procederanno comunque. L’importante è dare una patina di legalità all’imposizione violenta di una grande opera inutile. Da quel giorno le ditte potranno cominciare davvero i lavori.
I No Tav non mancheranno certo all’appuntamento, i sindacati di base daranno copertura convocando sciopero sia nel privato che nel pubblico, per consentire a tutti, anche a chi lavora, di partecipare. L’appuntamento sarà al fortino, ma i No Tav hanno imparato la lezione: la macchina dell’occupazione militare può essere messa in panne, scegliendo di volta in volta dove e quando agire.
Uscire dal catino della Clarea, dalla trappola allestita dallo Stato, che vuole nascondere la militarizzazione del territorio e la resistenza dei No Tav, mette in difficoltà un avversario che usa armi da guerra e poi intesse elegie alla non violenza.
La lotta popolare ha trovato il proprio ritmo, con azioni cui possono partecipare tutti.
Il movimento No Tav ha lanciato una settimana di lotta, facendo appello perché in ogni città ci siano iniziative l’11 aprile e i giorni successivi.
Dopo la caduta di Luca in ogni angolo d’Italia ci sono state manifestazioni, blocchi, presidi, occupazioni. Per il governo Monti non è stato un momento facile: le migliaia di uomini e donne in armi inviati in Val Susa servivano a poco, se ovunque si moltiplicavano le azioni di resistenza.
La lotta No Tav è divenuta un affare nazionale, perché l’opposizione al supertreno è lotta contro lo sperpero di denaro pubblico, spinta alla partecipazione diretta, rifiuto della delega in bianco, della logica della merce, del profitto ad ogni costo, della violenza di Stato come strumento di regolazione dei conflitti.
Secondo i calcoli fatti dall’assessorato ai Tributi, con le aliquote base, 4 per mille sulla prima casa e 7,6 per mille sulle seconde, il Comune dovrebbe incassare 256 milioni di euro, di cui circa 90 sulle abitazioni di residenza. Allo Stato andranno invece circa 160 milioni di euro. Il conto per i torinesi è di 416 milioni.
Quando a essere in vigore era la vecchia Ici, l’aliquota in vigore sotto la Mole era del 5,25 per mille. Quella prevista per il nuovo tributo è del 4 per mille, ma il decreto “Salva Italia” concede ai municipi di aumentarla (o eventualmente diminuirla) di altri 2 millesimi. Per Torino, quindi, si potrebbe immaginare un’imposizione simile a quella della vecchia Ici. Ma a scombinare le carte in tavola è appunto la rivalutazione degli estimi catastali. Prendendo ad esempio un alloggio popolare di due vani in un quartiere periferico, l’imponibile passerà dagli attuali 134.279 euro a 214.846 euro. E su questa verrà applicata l’aliquota maggiorata al 5,25 per mille. Se con la vecchia Ici si pagava infatti 601 euro al netto della detrazione di 103 euro, con l’Imu il contributo salirà fino a 1.128 euro, al quale si dovrà sottrarre una base di 200 euro e un’ulteriore detrazione di 50 euro per ogni figlio al di sotto dei 26 anni fino a un massimo di 600 euro. Nel caso di una coppia senza figlia si passerà comunque da 601 a 928 euro. Un aumento secco del 54 per cento.
Quella sualla casa è sempre più un’emergeza sociale. Tra nuove tasse, fitti alle stelle, mutui capestro sono sempre più quelli che perdono un tetto. Intanto a Torino, dopo le speculazioni di Spina Due e Spina tre potrebbe essere ai blocchi di partenza un nuovo blocco di cemento e affari tra lo scalo Vanchiglia e la Barriera di Milano.
Da molti anni invece non si fanno case popolari, poco fruttuose per la potente lobby del cemento e del tondino.
A Torino tuttavia sta crescendo la lotta per la casa, tra resistenza agli sfratti e occupazioni abitative.
Ascolta l’intervista a Renato Strumia, bancario, sindacalista ed esperto di questioni economich
Diretta con Emanuele Giordana, direttore di Terra e portavoce di Afgana, iniziativa di solidarietà con il popolo afgano. Si aggrava il quadro già molto compromesso nell’Afghanistan in guerra dal 2001. La strage di Panjwai, secondo molti testimoni non sarebbe frutto del gesto isolato di uno squilibrato ma il prodotto dell’odio collettivo instillato ad arte nella testa […]
La finanziarizzazione dell’economia sta modificando la natura stessa del capitalismo e dello Stato.
Se il ciclo degli scambi comincia e finisce con i soldi, le vite di sette miliardi di esseri umani diventano irrilevanti in un gioco il cui governo è altrove rispetto agli stessi Stati nazionali.
Agli Stati viene progressivamente sottratto il potere di controllo dei processi economici, ma mantengono e rafforzano quello militare.
– Quale spazio per un esodo conflittuale dalla roulette russa che stritola vite umane con la rapidità di una transazione finanziaria on line?
– Tra teocrazia finanziaria e governance mondiale: quali prospettive ci sono per i movimenti di opposizione sociale?
– La politica si riduce alle pratiche disciplinari degli Stati o restano spazi per percorsi di autogoverno territoriale e sperimentazione sociale, che ri-diano forza concreta alle idee di libertà, uguaglianza, solidarietà?
– Movimenti come i No Tav alludono ad una possibilità: coniugare felicemente l’attenzione etica globale con la riterritorializzazione del conflitto e la spinta all’autogoverno.
Ne parliamo con Salvo Vaccaro
Venerdì 16 marzo ore 21
in corso Palermo 46
Salvo Vaccaro insegna Filosofia politica all’Università di Palermo, è attivo da oltre 30 anni nel movimento anarchico e libertario di lingua italiana. I suoi ultimi libri sono “Pensare altrimenti. Anarchismo e filosofia radicale nel XX secolo” (eleuthera, Milano 2011) e “L’onda araba. I documenti delle rivolte” (Mimesis, Milano, 2012).
Lunedì 12 marzo 2012. Tobia Imperato è in sciopero della fame da ormai 10 giorni. Arrestato il 26 gennaio per aver partecipato alla resistenza allo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena, dopo un paio di settimane di carcere, prima a Torino, poi, per punizione, a Cuneo, si trova ai domiciliari. Il giudice gli ha imposto di non comunicare con l’esterno in nessun modo: niente telefonate, niente visite, niente lettere, niente mail. Non gli hanno concesso di uscire per andare a lavorare e, solo dopo ripetute richieste, ha potuto vedere sua madre, sua sorella e la nipotina di cinque anni.
Imposizioni odiose che rendono i suoi domiciliari quasi peggiori del carcere, dove poteva scrivere e ricevere visite.
Se decidesse di disobbedire, magari scrivendo una lettera, sarebbe considerato evaso e per lui si riaprirebbero le porte dalla prigione.
Chi lo costringe a scegliere tra il silenzio e il carcere sarà obbligato a sentire la risacca profonda della sua protesta.
Solo dopo una settimana dall’inizio dello sciopero gli hanno concesso di vedere un medico. Tobia ha perso 9 chili, è un po’ affaticato, ma deciso a non mollare.
Alcuni amici e compagni hanno promosso un’azione di sostegno alla sua lotta di libertà.
Diamo voce a Tobia!
L’invito a scrivergli per sostenerlo e offrirgli la nostra voce come megafono è stato accolto da molti.
Sono arrivate tantissime lettere, alle quali, siamo certi che appena potrà risponderà.
I fili della lotta e della resistenza No Tav si allacciano con la vicenda di Tobia e con quella di tanti altri compagni e compagne, che sono stati arrestati, denunciati, cacciati con il foglio vi via.
La campagna “diamo voce a Tobia” continua.
Scrivete ad anarres@inventati.org e fate girare le vostre lettere.
Nella giornata di ieri si sono svolti presidi ed iniziative in solidarietà con gli arrestati No Tav detenuti dallo scorso 26 gennaio; abbiamo sentito Gianluca sulla iniziativa ad Ivrea dove si trova rinchiuso Luca Cientanni, redattore di Radio Blackout [audio:https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/03/ivrea.mp3|titles=ivrea] Scarica file Mattia sulla manifestazione a San Vittore dove si trovano rinchiusi Nick, Marcelo e […]
Continua la lotta dei lavoratori della ex-Wagon lits. Oggi presidio davanti al ministero dei trasporti con la partecipazione dell’assemblea No Tav Roma, per chiedere un incontro con il ministro che finora non è stato in grado di dare risposte adeguate. Abbiamo intervistato Giuseppe che ha presentato l’iniziativa e fatto il punto sulla vertenza, sottolineando quanto […]
Interventi della giornata di oggi…dopo la partecipata assemblea di ieri a Bussoleno il movimento No Tav rilancia nuove giornate di lotte, leggete il programma degli appuntamenti organizzati per oggi e domani … Ore 19.55… Conclusione della grande mobilitazione odierna di Roma.. [audio:https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/03/03-03-2012-19h-51m-57s-ROMA_fabrizio.mp3|titles=notav_3marzo_1955_roma] Scarica il file Ore 19.10… Aggiornamento da Asti.. [audio:https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/03/03-03-2012-19h-11m-43s-ASTI_andrea.mp3|titles=notav_3marzo_asti] Scarica il file Ore 19.05… Udine, aggiornamenti.. […]
Di seguito gli interventi più significativi registrati ieri sera, 2 marzo, durante la diretta dell’assemblea No Tav di Bussoleno. (essendo una diretta telefonica, la qualità audio non è eccellente) Intervento di Alberto Perino. [audio:https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/03/perino1.mp3|titles=Intervento di Alberto Perino] Intervento di Maurizio, di Vaie. [audio:https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/03/maurizio-vaie.mp3|titles=maurizio di Vaie] Intervento di Danilo […]