Torino: il business della guerra ai poveri delle baraccopoli

Scritto dasu 2 Aprile 2017

Sulle prime pagine della cronaca locale di queste settimane c’è la vicenda riguardante l’inchiesta sull’appalto da 5 milioni di euro affidato dal Comune di Torino nel 2013 ad una cordata di associazioni e cooperative nell’ambito del progetto “La città possibile”, che istituzioni e media hanno sempre presentato come virtuoso esempio di “superamento dei campi nomadi”. L’inchiesta ha portato al sequestro di 400mila euro e all’iscrizione nel registro degli indagati di undici persone: tra queste, oltre al presidente di Valdocco Paolo Petrucci, al presidente di Terra del Fuoco Oliviero Alotto, alla presidente di A.I.Z.O. Carla Osella, al ras delle soffitte Giorgio Molino, ai fratelli Forte – Luca e Roberto, vicepresidente di Terra del Fuoco ed amministratore delle Farmacie Comunali – anche un volto molto noto negli ambienti della politica politicante torinese. Si tratta di Michele Curto, ex consigliere comunale di Sel, accusato di truffa, al quale sono stati sequestrati 13.489 euro, secondo l’accusa rimborsi gonfiati che il Comune di Torino avrebbe corrisposto all’azienda I.e. Impianti dove Curto sarebbe stato assunto “fittiziamente”.

 

Un’inchiesta che ha del grottesco, se si pensa che ad ordirla sia stato il pm Padalino, in seguito ad un esposto presentato in procura da Maurizio Marrone, consigliere regionale di Fratelli d’Italia ed ex picchiatore del FUAN. Al di là dei trighi e delle vendette tutti interni alla politica politicante, che si giocheranno nelle aule giudiziarie, non stupisce affatto che alla base del progetto “La città possibile” stesse una logica di speculazione sulla pelle degli abitanti delle baraccopoli. “Quale percentuale dei 5.193.167,26 euro è stata spesa per “costi di gestione” di associazioni e cooperative? Chi sono i proprietari degli immobili nei quali alcune famiglie sono state collocate? Quanto è costato lo sgombero manu militari della baraccopoli di Lungo Stura?”. Queste sono solo alcune delle domande che ben due anni fa gli abitanti di Lugo Stura ponevano, senza ricevere alcuna risposta. Oggi, ancora una volta, queste persone continuano ad essere trattate come oggetti sullo sfondo di un’inchiesta, invece che come soggetti, mentre il nuovo governo cittadino pentastellato si affanna a proseguire la guerra di classe contro i poveri, minacciando lo sgombero della baraccopoli di via Germagnano.

 

Il progetto “La città possibile” altro non è stato che uno sgombero forzato senza alternativa abitativa per le oltre mille persone che fino al 2013 vivevano nella baraccopoli più grande della città. Alla cordata composta da Valdocco, A.I.Z.O., Terra del Fuoco, Croce Rossa, Liberitutti, Stranaidea, il Comune di Torino ha affidato l’appalto milionario per portare a termine uno sgombero “silenzioso”, altrimenti impraticabile con il solo uso della forza pubblica. Le famiglie – per 15 anni etichettate come “nomadi” per giustificarne la ghettizzazione, costrette a vivere in baracca nell’indifferenza delle istituzioni e bacino di manodopera da sfruttare nelle economie formali ed informali della città – sono state divise e selezionate arbitrariamente. I pochi “meritevoli” nelle case temporanee, gli altri deportati “volontariamente” in Romania o sgomberati. Il campo rappresentato come colpa individuale e non come conseguenza sociale imposta da povertà, sfruttamento e discriminazione. Nella totale assenza di coinvolgimento delle famiglie del campo nelle fasi di elaborazione ed implementazione del progetto ed in mancanza di alcun criterio trasparente o possibilità di ricorso, la Città di Torino si è così arrogata il “diritto” al monopolio della violenza persino oltre i limiti imposti da uno stato di diritto già strutturalmente fondato sull’occultamento del conflitto di classe e sulla romofobia. Nulla di nuovo rispetto alle strategie di governo del sociale che da tempo caratterizzano lo spazio metropolitano torinese, dove le politiche di “riqualificazione” urbana nelle diverse periferie vengono portate avanti tramite sfratti, sgomberi, retate e speculazioni che rispondono a precisi interessi economici.

 

Questa mattina ne abbiamo parlato con Cecilia Vergnano, ricercatrice precaria, che ha seguito lo sgombero del campo di Lungo Stura e la lunga lotta degli abitanti della baraccopoli:

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