femminismo

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La narrazione della violenza contro le donne, prevalente sui media, ne nega la valenza politica, contribuendo ad alimentare l’immaginario che la genera e la giustifica.
Mercoledì primo marzo la Rete Non Una di Meno di Torino ha deciso di portare la narrazione femminista, intersezionale sulla violenza di genere di fronte al quotidiano Repubblica. Lì verrà fatta una s-conferenza stampa, una conferenza stampa al contrario.
Le attiviste di Non Una di Meno non “chiedono” alla stampa di ascoltare e diffondere la loro narrazione, ma intendono raccontare le violenze subite quotidianamente all’interno degli ingranaggi sociali, economici, politici e culturali, che tengono in scacco le loro vite. I media relegano nella sfera privata, sentimentale, personale la violenza senza coglierne la dimensione reattiva, che caratterizza chi vuole imporre con la forza la sottomissione alla norma patriarcale.

L’appuntamento è per mercoledì 1° marzo ore 16 per il presidio/s-conferenza stampa nei pressi del quotidiano Repubblica, in via Bruno Buozzi angolo via Roma

Ne abbiamo parlato con Bia della Rete Non Una di Meno Torino.

Ascolta la diretta:

Di seguito il loro comunicato:
L’assemblea della Rete Non Una di Meno di Torino ha deciso di non fare una conferenza stampa per presentare lo sciopero generale dell’8 marzo. Abbiamo scelto di fare un presidio nel centro della città, nei pressi di uno dei tre maggiori quotidiani cittadini, per proporre una narrazione della violenza di genere diversa da quella di gran parte dei media nazionali ed internazionali.
La violenza di genere è confinata nelle pagine della cronaca nera, una collocazione che ne nega la valenza politica, trasformando pestaggi, stupri, omicidi, molestie in episodi di delinquenza comune, in questioni private.

La libertà che le donne si sono conquistate ha incrinato e a volte spezzato le relazioni gerarchiche tra i sessi, rompendo l’ordine simbolico e materiale, che le voleva sottomesse ed ubbidienti. Il moltiplicarsi su scala mondiale dei femminicidi dimostra che la strada della libertà e dell’autonomia femminile è ancora molto lunga. E in salita.
La narrazione della violenza proposta da tanti media rende questa salita più ripida.

I media di fronte al dispiegarsi violento della reazione patriarcale tentano di privatizzare, familizzare, domesticare lo scontro. Le donne sono vittime indifese, gli uomini sono violenti perché folli. La follia sottrae alla responsabilità, nascondendo l’esplicita intenzione disciplinante e punitiva.

La violenza maschile sulle donne è un fatto quotidiano, che i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus di follia, eccessi di sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una violenza che esprime a pieno la tensione diffusa a riaffermare l’ordine patriarcale.
I media descrivono le donne come vittime da tutelare, ottenendo l’effetto paradossale di rinforzare l’opinione che le donne siano intrinsecamente deboli.

Noi non siamo vittime, non accettiamo che la libertà e la sicurezza delle donne possa divenire alibi per moltiplicare la pressione disciplinare, i dispositivi securitari e repressivi, il crescere del controllo poliziesco sul territorio.

Le donne libere stanno creando reti solidali, che le rendono più forti individualmente e collettivamente. Disprezziamo la violenza e chi la usa contro di noi, ma quando è necessario sappiamo difenderci da chi ci attacca, nella consapevolezza che chi tocca una, tocca tutte.

I media usano la violenza sulle donne come strumento per rinforzare il razzismo nei confronti dei migranti: la violenza di genere è raccontata in modo molto diverso se i protagonisti sono nati qui o altrove. La violenza verso le donne migranti viene spesso minimizzata, perché considerata “intrinseca” alla loro cultura. Parimenti se il violento è uno straniero la stessa argomentazione viene usata per invocare la chiusura delle frontiere ed espulsioni di massa.
Il moltiplicarsi dei femminicidi agiti da uomini italiani verso donne italiane dimostra che la violenza di genere è senza frontiere. Come lo sciopero femminista del prossimo otto marzo.

I media colpevolizzano chi subisce violenza, scandagliandone le vite, i comportamenti, le scelte di libertà, per giustificare la violenza maschile, per annullare la libertà delle donne, colpevoli di non essere prudenti, di non accettare come “normale” il rischio della violenza che le colpisce in quanto donne.
Lo stereotipo di “quelle che se la cercano”, che si tratti di sex worker o di donne che non vestono abiti simili a gabbie di stoffa, è una costante del racconto dei media. Decenni di femminismo e di storia della libertà femminile vengono deliberatamente ignorati.

I media negano identità e dignità alle persone, quando scrivono di “trans uccisi”, senza nulla sapere delle loro vite.
Il genere non è un destino, né una condanna, ma un percorso che ciascun* attraversa per trovare se stess*, fuori da stereotipi e ruoli imposti.

I media sono responsabili del perpetuarsi di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza contro le donne, la violenza di genere.

Per questa ragione la nostra presentazione dello sciopero internazionale dell’8 marzo sarà un presidio di informazione e di lotta.

Abbiamo scelto la sede di Repubblica, ma idealmente saremo di fronte alle sedi dei tanti, troppi, altri quotidiani, emittenti televisive e radio, che, propongono una visione privata, personale, impolitica della violenza maschile sulle donne, della violenza di genere, della violenza che cerca di piegare il nostro insopprimibile desiderio di libertà, i nostri percorsi di autonomia, la nostra storia di persone che lottano per se e per tutt*.

Noi non ci stiamo!
Racconteremo in strada la marea femminista che sta dilagando ai quattro angoli del pianeta.

Mercoledì 1° marzo ore 16
s-conferenza stampa nei pressi del quotidiano Repubblica, in via Bruno Buozzi angolo via Roma

Non Una di Meno Torino

nonunadimenotorino@gmail.com

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