La calda estate dell’Africa

Scritto dasu 25 Settembre 2020

 

Un’estate calda… e nel caso del continente nero sarebbe normale, anche se nella vulgata occidentale non si colgono accenni, né trapelano notizie su gruppi armati (Wagner russi o jihadisti trasportati da Erdoğan), passaggi di armi, loro vendita, scambi tra potenze e fazioni in conflitto, guerre per procura, incursioni, attribuzioni di infrastrutture, appalti vinti per l’impegno militare a fianco di un contendente o di un altro (Libia), imam antijihad uccisi (Burkina); la voracità di tutti i paesi dell’Occidente (e dei loro enti nazionali di idrocarburi, oppure di vendite di armi di stato, o di umani schiavizzati nelle strade del Sahel) si moltiplica nelle rapine e nelle appropriazioni di Sauditi, Emirati (si sono presi Socotra, un’intera isola che controlla il Mar Rosso); persino i cinesi mettono in campo i militari – per difendere le “loro” infrastrutture nell’Africa orientale. L’evento più eclatante è quanto è accaduto in Mali, ma forse tutto quello che sta capitando nel Sahel da 10 anni è essenziale per gli equilibri del continente. E per il lento processo di reale decolonizzazione: 60 anni fa il 22 settembre 1960 il Mali divenne indipendente, ma il 22 settembre 2020 la giunta golpista nata sulla spinta insurrezionale popolare e che nei primi proclami chiedeva l’allontanamento delle truppe francesi anche stavolta non riesce a fare a meno di sottostare ai ricatti della presenza militare estera e propone riforme costituzionali che non solo prevedono, ma invitano truppe straniere, con lo spauracchio del jihad (intorno al lago Ciad), dei pirati lungo le coste tra il Kenia e il Mozambico, o negli stretti davanti al Somaliland e a Gibuti, dove sono presenti compound militari di ogni nazionalità. I porti in quell’area sono in mano a sauditi ed emirati, ma il porto commerciale di Gibuti è in mano ai cinesi, che davanti all’attivismo di russi e turchi, ha accelerato il suo impegno di “peace-keeping” a scapito dell’Africa e appropriandosi di cobalto, terre rare e altre materie prime strategiche. Collegando i porti di cui prende possesso e li collega con l’interno a estensione della Belt Road Initiative (Gibuti, ma anche Mombasa).

Abbiamo chiesto di ricostruirci il quadro generale ad Angelo Ferrari, con la promessa che approfondiamo ancora molto presto (confrontando il colonialismo classico con quello attuale):

Neocolonialismo in terra africana


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